Uno dei simboli più diffusi, sia nella iconografia del mondo biker che nell’ambito dei tatuaggi, è certamente il teschio. Lo si trova ovunque, rappresentato in mille modi, dai disegni più drammatici in stile horror a quelli più classici, tradizionali. E’ spesso centralizzato ed intorno ad esso ruotano simbologie di contorno, motociclistiche o magiche, terrificanti o alchemiche. O viene invece a fare parte integrante di loghi e segni più complessi, quasi sempre in ambito prettamente biker.
Il teschio viene normalmente inteso come portatore di valenze diverse: può voler dire un avvertimento, un monito filosofico – questo è quel che diventerai, quel che ti riserva la Vita, la Morte e nulla più – o un segnale minaccioso, di pericolo. Nell’antichità campeggiava all’ingresso dei villaggi, per scacciare il male e i nemici, avendo quindi valore di scaramanzia e di protezione, come se gli spiriti dei morti fossero pronti a scendere in campo a combattere con gli abitanti. Probabilmente è questo, a livello inconscio e inconfessato, il principale motivo di spinta a tatuarsi un teschio, quello di ricordare con un omaggio amici o familiari morti e richiederne in compenso il supporto sovrannaturale. Entrando in questo ambito particolare bisogna ricordare i "calaveras", i teschi tipici messicani e sudamericani. La loro presenza è fondamentale nel Giorno dei Morti, quando la popolazione festeggia con grandi celebrazioni, balli in piazza e pellegrinaggi nei cimiteri per portare doni, cibo e fiori, sulle tombe. L’aspetto giocoso dell’iconografia discende certamente da Santa Muerte, la divinità femminile dell’oltretomba – positiva, dato che è compagna del lato oscuro, quello che chiameremmo Ade, cioè Xibalba, che invece comanda sul regno dei dimenticati, una variante del nostro inferno dove svaniscono le anime che non hanno più nessuno a pregare per loro.
Santa Muerte è un culto collegabile, e derivante in parte, dalla brujeria e dalla santeria, queste ultime paragonabili alla nostra stregoneria e ai rituali voodoo haitiani. Si dice sia iniziato agli albori del 2000 per opera di Dona Quieta che eresse un piccolo santuario nel malfamato quartiere di Tepito, a Città del Messico, subito divenuto meta di curiosità e pellegrinaggi, ma gli antropologi riportano il culto ad antichissime pratiche tribali. Santa Muerte, raffigurata come una donna scheletro, e nei tatuaggi come un bellissimo volto femminile in parte teschio in parte umana; è la divinità dei poveri,pronta a soddisfare non pene psicologiche né a lenire i tormenti dei peccatori, bensì le richieste più concrete di soldi, fortuna, popolarità, vittoria sui nemici. Non per nulla adottata e riverita da tutti i cartelli dei narcos e dagli strati più bassi della popolazione, è andata diffondendosi a macchia d’olio ovunque e grazie anche alla affascinante iconografia del teschio femminile, i tatuaggi di Santa Muerte sono da decenni un imperdibile must per gli aficionados del settore.
Nel teschio di Santa Muerte convergono pulsioni erotiche, desiderio e richieste. Un mix esplosivo che non può non colpire l’immaginario collettivo. Alquanto bizzarra, poco studiata ma interessantissima, è la commistione che si è creata, ovunque si segua il culto di Santa Muerte, con la religiosità cristiana e i suoi santi, in particolare con quello che da noi è quasi misconosciuto mentre altrove, soprattutto in America del nord e del sud, è molto amato: san Giuda Taddeo. Continuamente confuso con Giuda l’Iscariota e negletto dalla maggioranza dei fedeli San Giuda, l’apostolo cugino di Gesù, è il cosiddetto “santo degli impossibili” e a lui si sono sempre rivolti coloro afflitti da problemi talmente gravi da risultare impossibili, appunto, ad essere risolti nei modi comuni. In America del nord è tra l’altro anche protettore delle guardie – lo troviamo citato nel film “Gli intoccabili” di De Palma, e in “Man on fire” dove una sua medaglietta accompagna il protagonista verso un estremo sacrificio di redenzione.
Il culto di San Giuda è da sempre afflitto da una pochezza di notizie ma gli studiosi lo mostrano portatore del "Mandilion" verso i regni dell’est, il lembo di tessuto sul quale era impresso il Volto Santo del Redentore, che serviva a proteggere le città assediate dai nemici, e a convertire i regnanti pagani che lo vedevano. Notevole quindi come questo santo, che porta con sé l’immagine di un volto, anzi quasi di un teschio, sia finito accostato ad un teschio vivente quale è Santa Muerte, e sia diventato il secondo santo più venerato in America del sud dopo di lei. Di san Giuda Taddeo esistono diverse chiese anche da noi; poche e rare anche le reliquie che lo testimoniano, alcune conservate nell’ala sinistra della basilica di San Pietro, oltre al Mandilion sul quale ci sarebbe parecchio da discutere in quanto esisterebbero diversi tessuti che portano inciso miracolosamente il volto di Cristo, a cominciare da quello occultato in Vaticano e ormai estremamente consumato, a quello chiamato “Volto Santo di Manoppello”, al quale fece visita papa Benedetto XVI, tuttora visibile e venerato dal pubblico.
Si favoleggia anche di un miracoloso reliquiario appartenuto ad un cardinale partenopeo contenente frammenti di san Giuda, di santa Maria Francesca, di San Giovanni Giuseppe della Croce e del velo della Beata Vergine Maria, ma se ne sono perse le tracce moltissimi anni fa. Come si vede, l’iconografia del teschio, da quella immagine semplicemente paurosa nota ai più, riesce a celare in sé infinite altre sfaccettature, che investono la profonda religiosità, l’onore e il rispetto per chi non c’è più, il coraggio di portare addosso il segno degli spiriti combattenti, la sessualità pagana di Santa Muerte, persino una deviata sembianza del volto del Cristo veicolato da colui che ne fu apostolo e diffusore, san Giuda. Moltissime cose alle quali nessuno fa mente locale portandole sulla pelle a volte solo per moda, a volte con uno spirito ben diverso.
Papa Doc per MPM GENS